La vera storia dei promessi sposi

La vera storia dei promessi sposi
La vera storia dei promessi sposi
La vera storia dei promessi sposi

Oggi vi voglio parlare della vera storia dei promessi sposi. Ebbene si, i promessi sposi sono realmente esistiti e pare che il Manzoni abbia scritto il suo romanzo storico prendendo spunto dalle vicende di questi due giovani amanti. Sarete curiosi di sapere come sono venuta a conoscenza di ciò, ora ve lo racconto.
L’anno scorso il caro amico Ortensio Seclì mi portò in dono il suo libro: “Il giardino grande” dicendomi appunto che era la vera storia dei promessi sposi. Vicenda realmente accaduta in quel di Parabita, piccola cittadina della provincia di Lecce, ove ancora oggi vi dimorano i discendenti. “Sai – mi disse – quel busto che troneggia nello spiazzo antistante la Banca Popolare è un discendente di Don Saverio Ferrari” Già, quel busto visto mille volte con occhio superficiale, racchiude tanta storia piena di sofferenza. Vorrei raccontarvi la trama, ne sono rimasta affascinata, la lettura è scorrevole, intrigante, ti prende e ti trascina, vorresti dire basta, è tardi è ora di andare a letto, domani si lavora, invece no, continui, ancora un’ultima pagina e poi ancora e ancora e ti accorgi che sono le tre del mattino. A malincuore chiudi, la sveglia non avrà pietà.
Le vicissitudini del nobile Don Saverio Ferrari innamoratosi e ricambiato dalla popolana Rosaria, ebbero inizio il 10 luglio 1673, un amore tanto grande e tanto forte da far affrontare ai due tante umiliazioni, sacrifici, dolori. Persino il divieto del re a questo matrimonio non riuscì a separali. Quel matrimonio non sa da fare, differenza di censo, ma soprattutto interessi economici, lui era il terzogenito maschio e per la legge del tempo, non aveva diritto ad eredità, che andava tutta al primogenito, che a sua volta doveva elargire un vitalizio ai fratelli.
Per consuetudine, i fratelli minori si votavano alla chiesa o alle armi, ma Don Saverio ha contravvenuto a questa consuetudine ed è pure padre di un figlio maschio, un figlio maschio che il fratello maggiore desiderava tanto, orrore, un bastardello poteva ereditare tutto.
Questa vicenda è assurta alle cronache del tempo, creando notevole scalpore, essendo intervenuti nella diatriba, notai, giudici e nientemeno che il re, se ne parlò sicuramente in tutti i salotti buoni, spingendo il Manzoni a farne un romanzo.
Vi ho incuriositi? Sicuramente si e come al solito il mio sadismo prevale, vi lascerò con la curiosità, invitandovi a leggere questo meraviglioso libro: “Il giardino grande” di Ortensio Seclì.
Preferisco parlavi dell’autore, un uomo schivo, riservato, marito, padre e nonno, con una famiglia meravigliosa, dalle grandi doti narrative, ma soprattutto un puntiglioso, preciso ricercatore storico. I suoi scritti sono brandelli di vita reale di un tempo lontano. Quando mi descrive ciò che scopre nelle sue ricerche, mi sembra di ascoltare dei semplici racconti, invece sono degli squarci sul passato, uno spiare l’intimità dei nostri antenati. Lui passa le sue giornate tra famiglia e vecchi registri dei Comuni, delle Parrocchie, della Curia, dell’archivio di stato o del catasto onciario, riportando alla luce la quotidianità di gente umile e lavoratrice, di giovani donne che venivano poste al servizio della chiesa, le cosiddette “Virgo in capillis”, con uno scopo ben preciso, non pagare le tasse. Come non pagare le tasse? Si i figli erano considerati una fonte di reddito già dalla fanciullezza, erano lavoratori in erba, quindi percettori di reddito.
Questo e tanti altri aneddoti, sono narrati nei libri scritti da Ortensio

Dimenticavo, a breve uscirà il secondo volume, la storia continua, e non la storia intesa come racconto, ma la storia vera del tempo che scorre e forse risarcisce da tanti dolori.

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